Pagina web del progetto Erik dedicata a un articolo riguardo recenti scoperte scentifiche sull'età del bronzo e i Vichinghi

In Norvegia già esistevano i Vichinghi duemila anni prima dei Vichinghi?




Sri Aurobindo, stando a quanto si può dedurre da sparuti accenni contenuti in alcuni suoi scritti, dovette ricevere per vie interiori l’indicazione secondo la quale l’uomo primitivo, «forse, non è tanto l’antenato dell’uomo civilizzato, quanto il discendente decaduto di una civiltà pregressa» (dall’introduzione a The Synthesis of Yoga, Capitolo II, “The Three Steps of Nature” — vol. XXIII dell’Opera Omnia). E che potrebbe essere esistita, in tempi tanto antichi da non essere ancora adeguatamente scoperti e computati, «una cultura comune estesa su gran parte del globo di cui l’India costituiva probabilmente un centro» (The Secret of the Veda, vol. XV, da un articolo dal titolo “Interpretation of the Veda” pubblicato per la prima volta sul quotidiano The Hindu il 27 agosto 1914).

Il più antico storico norreno a noi noto, l’islandese Snorri Sturlson (1179-1241), da parte sua, riferisce che le prime popolazioni vichinghe provenivano dall’Estremo Oriente, stanziatesi infine nella Penisola Scandinava per volontà del loro capo Odino.

Da qualche anno, la scienza pare timidamente suffragare tali affermazioni. Recentemente, per esempio, gli archeologi nordici impegnati nelle ricerche riguardanti il territorio scandinavo durante l’età del bronzo (3.400 - 600 a.C.), hanno portato alla luce una notevole quantità di nuove informazioni, tali da indurre a modificare sensibilmente le loro precedenti conoscenze relative a tale periodo. Hanno infatti individuato precise prove testimoniali di un’era vichinga che risalirebbe a tremila anni fa; mentre quello che noi attualmente chiamiamo “periodo vichingo” viene fatto partire da circa mille anni fa!

Anzitutto, da tali recenti studi emerge che le popolazioni stanziate in Norvegia tremila anni fa dovettero essere molto meno primitive di quanto si riteneva. Non erano, come invece si supponeva, cacciatori nomadi rimasti ancorati ai vecchi modelli di vita tipici dell’età della pietra. Le navi costruite da norvegesi, svedesi e danesi risalenti a quell’epoca erano in grado di accogliere al loro interno una folla di almeno 50 passeggeri. Quando i vichinghi giunsero in Inghilterra (a partire dal 790 d.C.), dovettero avere imbarcazioni di queste dimensioni — per poi raggiungere l’Italia navigando attraverso i grandi fiumi della Francia.

Almeno il 90% dei petroglifi (incisioni rupestri) rinvenuti in Norvegia e risalenti all’età del bronzo rappresentano navi, ampie e lunghe. Gli archeologi, quindi, hanno incominciato a chiedersi come mai le popolazioni norvegesi di 3000 anni fa fossero così interessate a raffigurare imbarcazioni.



Una risposta plausibile potrebbe riposare su un’ipotesi mutuata da simili raffigurazioni presso gli antichi Egizi: ovvero, che le navi rappresentino il transito degli umani passeggeri nel regno dell’oltretomba. Tuttavia, si è pure scoperto che i popoli scandinavi durante l’età del bronzo erano grandi viaggiatori, giungendo fino in Italia e in Spagna, in Grecia e nell’Egitto dei faraoni.

Ma l’elemento più importante riguarda alcune scoperte che ci ricollegano alle premesse del presente articolo. Kristian Kristiansen, ricercatore presso l’università di Göteborg, considerato unanimemente come il massimo esperto delle ricerche scandinave relative all’età del bronzo, ha recentemente affermato che «il mondo ha conosciuto la prima globalizzazione durante l’età del bronzo». E si è subito premurato di aggiungere: «Gli esseri umani che vissero in Scandinavia circa tremila anni fa, facevano chiaramente parte del movimento di globalizzazione dell’epoca».

L’archeologa Lene Melheim, attiva presso il Museo storico-culturale dell’università di Oslo, è un’altra figura di primario rilievo negli studi dell’età del bronzo norvegese, e si trova in pieno accordo con le dichiarazioni del suo collega, precisando: «Ritengo che più di 3000 anni fa i norvegesi percorsero per nave l’intero Mediterraneo. Alcuni dei miei colleghi potrebbero non condividere questa mia convinzione, ma io la ritengo alquanto plausibile. Sappiamo ormai che gli antichi norvegesi possedevano beni provenienti dall’Europa meridionale, e che con ogni probabilità erano abili navigatori. Il che giustificherebbe la presenza di tutte queste mercanzie forestiere».

Questo, come si cennava, mette in discussione la storia dei Vichinghi così come finora conosciuta, la cui epoca viene fatta incominciare verso l’800 dell’era corrente. Non solo le imbarcazioni, ma anche le abitazioni, i tumuli di sepoltura, le armi, l’abbigliamento e molti altri oggetti rinvenuti in Scandinavia e risalenti a circa tremila anni fa sono sorprendentemente simili a quelli in uso presso le popolazioni a noi note sotto il nome di Vichinghi. L’età del bronzo prende il suo nome dal fatto che durante questo periodo si prese a utilizzare per l’appunto il bronzo (che, ricordiamo, è una lega costituita per il 90% da rame e per il restante 10% da stagno), oltre all’oro e ad altri metalli. «L’età del bronzo e il periodo vichingo nei paesi nordici presentano caratteristiche molto simili», tiene a precisare Kristiansen. Stiamo inoltre parlando di organizzazioni sociali prevalentemente marinare. Le imbarcazioni erano costituite da assi di legno sapientemente assemblati tra loro. Per fare un esempio, la “Nave Bjørnstad”, risalente a 3000 anni fa, era in grado di ospitare più di 50 persone. Il dipinto murale di tale imbarcazione (riprodotto qui sotto) è lungo 4 metri, raffigurato su una parete rocciosa nei pressi di Sarpsborg, nel sud-est della Norvegia.



L’età del bronzo, come è largamente noto, viene collocata tra quella precedente della pietra e quella successiva del ferro (sebbene, per la verità, sappiamo ormai che il ferro, il bronzo e la pietra fossero utilizzate in tutte e tre le ere). A ogni modo, in Norvegia l’età del bronzo incomincia circa 3700 anni fa, e l’età del ferro circa 2500 anni fa. L’invenzione del bronzo è stata per certi versi rivoluzionaria: permise di costruire oggetti più solidi e perfino più eleganti e, soprattutto, tali oggetti potevano essere riutilizzati per altri usi, mediante fusione. Ebbene, le ricerche dimostrano che il rame e lo stagno presenti in Norvegia durante l’età del bronzo provenivano da altrove — e da molto lontano (all’epoca, i siti europei di questi due metalli erano sparuti). Il che avvalorerebbe l’ipotesi degli studiosi citati circa l’antica globalizzazione. Secondo Melheim, peraltro, «la maggior parte del bronzo proveniva dall’Italia»; infatti, una analisi compiuta su un centinaio di bronzi danesi dimostra che il 40% del rame ivi contenuto risulta estratto da miniere sud-tirolesi. Un ulteriore archeologo dell’università di Göteborg, John Ling, anch’egli specializzato sull’età del bronzo scandinava, in uno studio specifico giunge a conclusione che 3500 anni fa una miniera di rame in Italia fornì il più ingente quantitativo di materiale per forgiare spade non solo in Italia ma anche nell’intera Scandinavia.

Ling riferisce inoltre che recenti ricerche attestano l’esistenza di qualcosa come diecimila vascelli raffigurati su petroglifi nella sola località di Bohuslän, presso la costa svedese settentrionale. Egli ne ha esaminati circa 1700, notando che la poppa assume spesso la forma di qualcosa di molto simile alle teste di animali delle navi vichinghe, mentre al suo interno ha potuto distinguere aratri, asce, spade, esche, carri e un buon numero di animali — tutti realmente esistenti in Svezia e in Norvegia 3000 anni fa. Il che renderebbe poco attendibile la versione secondo cui tali navi sarebbero oggetti mitologici rappresentanti il passaggio nell’aldilà. Inoltre, uno dei particolari affascinanti è che le imbarcazioni più imponenti raffigurate nei petroglifi norvegesi e svedesi sono quelle risalenti all’età del bronzo. Durante l’età del ferro e fino all’epoca romana, le navi raffigurate presentano un numero più ridotto di passeggeri.

La nave danese conosciuta con il nome di Hjortspring risale a 2500 anni fa. Fu rinvenuta durante alcuni scavi accorsi nel 1921 e risulta alquanto simile ai vascelli dipinti nei petroglifi suddetti. Al suo interno furono trovate armi ed equipaggiamenti bellici, al punto da ritenere che dovesse trattarsi di una nave da guerra, adibita al trasporto di 22 uomini. Qui sotto è riprodotta la ricostruzione di tale imbarcazione e, più in basso, la meticolosa ricomposizione dei resti rivenuti dopo gli scavi.



Tale vascello testimonia una elaborata tecnica costruttiva, frutto di una lunga tradizione, conservatasi peraltro fino ai giorni nostri presso alcuni costruttori di navi norvegesi. Tecnica ritrovata pure in Germania e nei Paesi Baltici, il che suffraga ancora una volta l’esistenza di contatti duraturi con i popoli del continente europeo.

Pure le lunghe abitazioni norvegesi risalenti a 4000 anni fa appaiono del tutto simili a quelle dell’era vichinga di 1000 anni fa. Alcune arrivano a 40 metri di lunghezza, divise in due o tre sezioni, capaci di ospitare dai 15 ai 20 abitanti. Circa 3000 anni fa, le case sono diventate più piccole, dato che il nucleo abitativo dimorante al loro interno si è ristretto. Anche gli animali domestici erano gli stessi nei due diversi periodi, e includevano cani, mucche, pecore, capre, maiali, cavalli.

Altro studio affascinante riguarda il DNA dei popoli dell’antichità: notevoli informazioni si ricavano dall’analisi del materiale genetico, perfino su quanto a lungo viaggiassero i popoli di due o tremila anni fa. Si è scoperto, per esempio, che parecchie donne danesi dell’età del bronzo provenivano da molto lontano (anche alcuni uomini, ma in quantità decisamente inferiore), sebbene nessuno abbia ancora saputo fornire una spiegazione plausibile. La ricercatrice danese Helle Vandkilde ha apportato notevoli contributi in tale ambito di ricerche. È lei ad aver coniato il termine di “bronzizzazione” per identificare quel periodo, conferendo a tale neologismo una connotazione molto simile all’attuale concetto di globalizzazione: il bronzo ha determinato infatti la necessità di creare nuove vie di comunicazione e di transito (ove le navi assumono per l’appunto un ruolo preminente) e finanche nuovi sistemi sociali.

Tutte queste scoperte hanno indotto i ricercatori a mettere fortemente in discussione alcuni paradigmi basilari. Per conseguenza, mentre in precedenza ci si era concentrati esclusivamente sull’analisi delle culture locali, ultimamente si è preso a effettuare studi comparativi tesi a tentare di chiarire le relazioni di questi antichi popoli con il resto del mondo. Non a caso, Kristiansen sottolinea il fatto che «nuovi metodi scientifici hanno rivoluzionato il nostro campo di indagine».

Un team internazionale composto da ricercatori del Moesgaard Museum di Aarhus (Danimarca, diretti dall’archeologa Jeanette Varberg), del National Museum di Copenhagen (Danimarca, capeggiati da Flemming Kaul) e dell’Institut de Recherche sur les Archéomatériaux (IRAMAT, il cui direttore è Bernard Gratuze) di Orléans (Francia), è giunto a una scoperta davvero sensazionale, relativa ad alcune vie di comunicazione esistenti tra la Danimarca e l’Egitto che permisero ai rispettivi abitanti di intessere una fitta rete di scambi qualcosa come 3.400 anni fa (per esempio, alcune perle di vetro blu rinvenute su donne sepolte nell’età del bronzo in Danimarca, si è scoperto provenire dalla medesima officina che forniva vetro al faraone egiziano Tutankhamon, come testimoniano i ritrovamenti nella sua tomba, datata 1323 a.C.; d’altra parte, l’ambra ritrovata nelle tombe egizie proveniva dalla Scandinavia). Il che permette, tra le altre cose, di comprendere meglio l’origine e il significato di alcuni culti solari norreni. Il vetro e l’ambra, non a caso, sono due materiali attraverso cui il sole penetra; e sono stati ritrovati non solo in Egitto e Scandinavia, ma pure in Italia, in Germania, in Turchia.

La cosiddetta “donna di Ølby” (un importante reperto archeologico) venne sepolta 3.300 anni fa. I suoi abiti (visibili nella foto riprodotta qui in basso) si sono preservati piuttosto bene e offrono indicazioni interessantissime circa il modo in cui le donne norrene si vestivano all’epoca, frutto di una commistione assai eterogenea: una gonna legata sul fianco, una spada corta in metallo proveniente dall’Austria, una fibbia sul petto in metallo proveniente dall’Italia e una collana in metallo proveniente dalla Slovacchia; nella tomba era presente anche una piccola perla di vetro blu, originaria dell’Egitto (si presume fosse un oggetto augurale, deposta nella bara per guidare l’anima verso la divinità solare). La donna Ølby è quindi un concreto esempio del livello di globalizzazione dei paesi nordici durante l’età del bronzo.



Qualcosa di analogo vale anche per i tessuti — come spiega Lene Melheim del Museum of Cultural History di Oslo: «Nuove ricerche mostrano che vi era pure un cospicuo commercio di tessuti in tutta Europa. Per esempio, grandi quantità di lana erano prodotte dalla cultura terramaricola in Italia. Con ogni probabilità, tali tessuti giungevano in Scandinavia». Ricordiamo che la cultura Terramare risale anch’essa all’età del bronzo ed era stanziata in Emilia e nelle zone di bassa pianura delle attuali province di Cremona, Mantova e Verona; i loro insediamenti si snodavano lungo una via che attraversava le Alpi nella Val Camonica e giungeva alle sponde del Po, dove venivano costruite le abitazioni che fungevano soprattutto da depositi e da punti di partenza delle merci (costituite da ambra dal Mar Baltico, stagno dai Monti Metalliferi e altro ancora), con direzione lungo il Po fino alla foce e all’Adriatico, verso il Mar Mediterraneo orientale, il Mare Egeo, Creta, l’Asia Minore, la Siria e l’Egitto.

Al principio dell’età del bronzo (quindi, ricordiamolo nuovamente, circa 3500 anni fa), pare che in Norvegia ci fosse una temperatura più calda dell’attuale di 3 gradi celsius (molte montagne attualmente aride, erano a quei tempi ricoperte di rigogliose foreste). Alla fine dell’età del bronzo, il clima in Norvegia cominciò a raffreddarsi, le temperature medie scesero al punto che divenne sempre più difficile disporre di terreni coltivabili. Pure l’arrivo del ferro contribuì a determinare parecchi cambiamenti (in Norvegia il ferro fece la sua comparsa verso il 600 a.C.): i contatti con gli altri popoli si fecero più radi, visto che il ferro era facilmente reperibile in Norvegia: bastava scavare, estrarre il minerale e lavorarlo. Il processo di globalizzazione conobbe quindi una decisiva battuta di arresto.

Prima di concludere occorre inoltre fare un sia pur breve accenno alla lingua norrena, anch’essa di origini composite. Il Fuþark antico è la più antica forma di alfabeto runico conosciuta, utilizzata dalle tribù germaniche (tra cui Norreni, Angli e Goti) tra il II e l’VIII secolo. Anche in questo caso, si nota una certa influenza del processo di globalizzazione: importanti iscrizioni runiche sono state scoperte nell’area alpina e prealpina. Scritture simili furono usate per il retico e il venetico (alcuni studiosi ipotizzano che l’alfabeto runico derivi da quello venetico, parlato dagli antichi Veneti, altra popolazione indoeuropea stanziata nell’Italia nordorientale — idioma da non confondersi con l’attuale dialetto veneto). Le rune del Fuþark antico sono comunemente ritenute aver avuto origine nella zona dell’antica città di Cuma, una delle prime città greche in Italia. L’alfabeto cumano (variante dell’alfabeto greco della zona eubea) è la base degli alfabeti dei popoli italici; le rune derivano da una variante settentrionale (alfabeto etrusco o retico) o dallo stesso alfabeto latino. L’alfabeto retico di Bolzano, in particolare, sembra adattarsi particolarmente bene alla forma delle rune.

In definitiva, tutti questi contatti dei popoli scandinavi con il resto del mondo fin dall’età del bronzo, rendono ancora più ovvia la constatazione circa la condivisione dei vichinghi con moltissime concezioni presenti presso tutti i popoli indoeuropei, come abbiamo avuto modo di riferire in altri spazi presenti in questo stesso sito dedicato alla rappresentazione teatrale del dramma vichingo di Sri Aurobindo. Articoli come il presente sono dunque tesi a fornire approfondimenti, ben lungi dal ritenersi esaustivi, ma attendibili e sufficientemente dettagliati (per lo meno, per i nostri scopi), utili alla migliore fruizione possibile del nostro spettacolo teatrale.