E R I K
COSTUMI

Per la realizzazione dei costumi del dramma lirico Erik, ci siamo fatti guidare dall’esemplare assunto di Schiller (il celebre poeta e filosofo tedesco, il cui “Inno alla Gioia” ispirò Beethoven nella composizione della Nona Sinfonia), secondo il quale nel regno estetico niente deve risultare come un mezzo, ma sempre come un fine. Quindi, affinché i costumi teatrali possano essere degni di uno spettacolo ineccepibile anche sul piano estetico, lo spettatore dovrà percepirli come elementi concepiti, realizzati e indossati per concorrere all’espressione della bellezza, e non per coprire i corpi degli artisti.

Ci siamo pertanto rivolti al dipartimento di un Liceo Artistico specializzato in “Discipline progettuali design moda”, invitando la docente a incaricare i suoi quindici allievi (per la stragrande maggioranza donne) di creare i modelli dei costumi di scena, la cui manifattura abbiamo affidato a una competente sartoria (l’Atelier “Vestire i sogni”, anch’esso composto da donne). A questo punto, spetta agli attori (guidati, come sempre, dalle indicazioni del regista) indossarli e viverli sempre più, in modo da arrivare a sentirli come una seconda pelle. Le immagini inserite nel presente articolo riproducono alcuni dei figurini realizzati appositamente per il nostro spettacolo Erik.



Nemmeno da trascurare sono le scelte ambientaliste e iconografiche. Partendo dal presupposto che i tessuti che abbiamo utilizzato per confezionare tali costumi sono naturali ed ecosostenibili (prevalentemente in lino, lana, cotone, seta, similpelle e finte pellicce), abbiamo prediletto tessuti e modelli che potessero rievocare il contesto storico e geografico in modo sufficientemente rispettoso, senza tuttavia ossessioni maniacali verso improbabili riproduzioni ‘filologiche’ — peraltro, pochissimi sono gli esemplari di abiti norreni sopravvissuti fino a noi: la ricostruzione del vestiario utilizzato dagli scandinavi durante la cosiddetta “epoca vichinga” si basa prevalentemente su fonti scritte (assai sparute) e sulla contestuale iconografia; solo negli ultimissimi anni (soprattutto a partire dal 2009) alcuni archeologi — affiancati e supportati da un team di chimici — hanno potuto effettuare una serie di precisi studi finalizzati alla individuazione dei colori in uso presso i normanni, sulla base di analisi chimiche dei pigmenti estratti da un certo numero di reperti storici. È infatti risaputo che i colori hanno da sempre un significato per contraddistinguere il ceto sociale delle persone appartenenti a un determinato popolo, sin dall’antichità, e i vichinghi non costituirono affatto una eccezione. Per ovvie ragioni, non è possibile stabilire il grado di vivacità dei colori originali utilizzati in epoca norrena, pertanto noi abbiamo privilegiato colori tendenzialmente tenui, senza tuttavia trascurare il fatto che i personaggi del nostro dramma appartengono perlopiù ai ranghi sociali più elevati.


    

Anche la bigiotteria assume peraltro una sua rilevanza nell’arricchire i capi di abbigliamento.



Gli studiosi sanno bene che i vichinghi amavano il lusso e la raffinatezza, contrariamente a falsi luoghi comuni che ancora oggi circolano in certi ambienti e che vorrebbero farli apparire come dei barbari rozzi e non civilizzati. Ulla Mannering (archeologo del Danish National Research Foundation's Centre for Textile Research presso il National Museum situato in Danimarca) segnala che «il blu e il rosso erano colori particolarmente utilizzati nell’intera età vichinga. In genere, le popolazioni norrene indossavano abiti colorati, arricchiti da vari ornamenti e nastri cuciti sui tessuti». Inoltre, prosegue Ulla, «per i loro vestiti essi utilizzavano l’oro, l’argento, le pellicce e la seta». Ma è da ribadire che, relativamente alle pellicce, abbiamo categoricamente evitato l’acquisto di materiali di origine animale, avvalendoci al contrario di pellicce sintetiche, così come per la similpelle in luogo della pelle vera (o del cuoio eccetera).

I normanni erano abili artigiani: usavano un tipo di telaio che permetteva loro di creare stoffe fitte con trama a spiga o spina-di-pesce; tingevano i tessuti con quello che la terra gli donava e i colori più usati erano: il blu (ottenuto dal gualdo) e le sue sfumature, il rosso (dalla robbia tintorea), il giallo (dalla reseda o dalla buccia di cipolla), il viola e il bordeaux (dai licheni), il verde di varie tonalità (da miscele tintoree), e il marrone in varie tonalità che arrivano fino al marrone scuro quasi nero (ricavato per lo più dal mallo di noce, facendo poi delle miscele con ferro e vari tannini).



L’abbigliamento maschile era composto da: kyrtill o sopratunica (solitamente di lana, con le maniche cucite in modo da permettere il movimento e spesso lunghe da coprire i polsi e parte della mano; veniva indossato dalla testa e poteva disporre di uno o più bottoni per la parte terminale della scollatura); tunica (che variava di lunghezza dalla coscia al ginocchio in base alla ricchezza di colui che la indossava; il davanti dell’apertura del collo a volte veniva chiusa, in due diversi modi: con una spilla o con un anellino di filo nel quale si infilava un bottone; le tuniche erano decorate con trecce di lana colorata applicate sulla scollatura e i polsini per i più poveri, mentre i più ricchi avevano decorazioni anche sul bordo della “gonna”); sotto il kyrtill si indossava una sotto-tunica di lino (la fattura era simile a quella del kyrtill — la differenza stava nella lunghezza delle maniche e della “gonna”, che risultavano più lunghe del kyrtill, per mostrarne la presenza); pantaloni (presenti in vari stili, alcuni stretti, altri larghi; spesso il polpaccio veniva coperto da lunghe fasce di lana che permettevano di mantenere il calore); un mantello di lana più o meno spessa (esso forniva minore o maggiore protezione in base alla pesantezza del tessuto; poteva essere ricamato o decorato con trecce o elaborati tessuti per i più ricchi; erano tenuti in posizione da una spilla fatta con perni ossei o elaborati gioielli — i materiali più usati erano il corno, il legno, il ferro, il bronzo e, per i più ricchi, l’oro); la cintura (solitamente di pelle con fibbie elaborate). Sulle tuniche non erano presenti passanti, in modo tale che si potessero usare diversi tipi di cintura di varia lunghezza (la parte eccedente veniva annodata intorno alla fibbia e lasciata cadere in modo decorativo). Alla cintura venivano appesi solitamente due elementi essenziali: un coltellino e un sacchetto di pelle o tessuto.



Gli abiti femminili erano realizzati con gli stessi materiali di quelli maschili. La donna indossava una tunica in lino, lunga fino alle caviglie con lo scollo a buco di serratura chiuso con una spilla sul davanti. Sopra la tunica, portava un abito di lana chiamato hangerock di lunghezza inferiore alla tunica, il quale era cucito a tubo e tenuto da due bretelle fissate con spille. Talvolta, sopra la tunica (al posto dello hangerock) veniva indossata un’altra tunica più corta, di lana. Tra le due spille sul petto (reggenti lo hangerock) venivano fatti passare fili di perle in vetro o ambra e ciondoli di vario genere. La cintura femminile aveva la medesima funzione di quella maschile. Pure le donne indossavano mantelli (pressoché identici a quelli maschili), scialli e cappotti (questi ultimi erano realizzati come le tuniche, con l’unica differenza che avevano un’apertura anteriore su tutta la lunghezza). Le spille trilobate erano spesso utilizzate per fissare l’apertura del collo. Il copricapo consisteva solitamente in un fazzoletto annodato sulla testa, mentre nei periodi freddi nello höttr (tipico cappuccio norreno) — quest’ultimo anche per gli uomini.


    

Resta da ribadire, in conclusione, che i costumi realizzati per questo allestimento di Erik armonizzano bellezza estetica a funzionalità scenica, creando qualcosa di magico, in cui ogni personaggio (compreso ciascun figurante) è unico e facilmente identificabile fin dal suo abbigliamento.